AZIENDE PRIVATE E PUBBLICHE VIRTU’
Lunedi - Luglio 9, 2012 12:38     Visto:336     A+ | a-

AZIENDE PRIVATE E PUBBLICHE VIRTU’
 
Tra le tante cose che nella mia vita non ho capito c’è questa abitudine di usare il termine “aziendalizzare” - in verità non un granché sul piano lessicale -  in senso dispregiativo. «Vogliono aziendalizzare la magistratura». «Non si può aziendalizzare un ospedale». «Ricordiamoci che lo Stato non è un’azienda». E via di questo passo, così che uno che leggesse o ascoltasse e non avesse idea di cos’è un’azienda ne trarrebbe l’impressione che deve essere un posto brutto assai, dove accadono chissà quali nefandezze.
 
Penso per esempio a generazioni di giovani, a come vengono intrattenuti dai loro professori circa gli ambienti presso i quali bene o male dovranno un giorno cercare un lavoro e a come tutto ciò possa influire così presto sul loro atteggiamento mentale. Ora, parliamoci chiaro e prendiamo subito il toro per le corna: che un’azienda esista per realizzare un profitto è una cosa sulla quale non ci piove - o non dovrebbe - ma forse l’idea stessa del profitto per qualcuno evidentemente è un peccato grave assai.
 
Ma non è questo il punto, bisogna evidentemente indagare più in profondità. Per esempio bisognerebbe chiedersi chi è stato a mettere in posizioni di influenza - dottrinaria, politica, organizzativa, ecc. -  persone di corto ingegno che un passo dopo l’altro ma in modo pervicace, da una ventina d’anni almeno, hanno convinto parti consistenti della pubblica amministrazione che una moderna visione della gestione non potesse prescindere dall’aspetto economico - il che è anche giusto, s’intende - e che un qualsiasi dirigente dovesse diventare un manager intendendosi con questo termine (in modo assolutamente riduttivo) quel professionista che prima di tutto è capace di far quadrare i conti. Il che è sicuramente vero ma come minimo incompleto, lasciando del tutto nell’ombra il vero valore aggiunto della figura manageriale, consistente nella capacità necessaria per far funzionare bene qualsiasi organizzazione, sia quelle a fini di lucro (profit, o aziende vere e proprie) che quelle non a fini di lucro (no profit, o organizzazioni di servizio pubblico).
 
Questa cattiva impostazione iniziale - un vero deficit culturale -  ha prodotto un danno increscioso e bizzarro: effettivamente molte amministrazioni pubbliche hanno preso lucciole per lanterne (ma chi le stava influenzando non se ne è accorto ?) e hanno cominciato a ritenere che la corretta gestione non sia questione di semplice non spreco - utilizzare le risorse, scarse, nel modo più corretto possibile come intelligenza e dottrina avrebbero dovuto suggerire -  ma sarebbe dovuta consistere, scimmiottando l’impresa privata, nel generare un profitto. Sulla scia di un pensiero del genere
- semplicemente sbagliato - sono iniziate degenerazioni che avrebbero dovuto far riflettere: organizzazioni di servizio pubblico che invece di concentrarsi sulla loro missione istituzionale (rendere il servizio dovuto nel modo più soddisfacente possibile per i cittadini e più efficiente per le casse dello Stato) hanno iniziato allegramente a diversificare le loro attività e a rincorrere il rendimento facendo così, per sovrappiù, anche una concorrenza indebita agli imprenditori privati. Naturalmente il tutto utilizzando i soldi della comunità, pensate un po’ quale nuovo “spirito imprenditoriale” si è venuto formando nel Paese e da quali menti è stato ispirato!
 
Voglio volutamente tralasciare, in questa analisi, i non pochi e sempre più frequenti casi di arrembaggio a società ed enti di dubbia utilità sociale condotto al puro scopo di generare incarichi e prebende e dove i posti di Presidente, Consigliere, Direttore Generale, Manager di questo e di quello sembrano scappati da un tavolo di Monopoli e dove, ad ogni piè sospinto, si parla del tutto a sproposito di “azienda”. Li tralascio perché di puro malaffare trattasi e non di semplice cattiva gestione, brutta cosa questa ma curabile, se uno vuole, cosa che non può dirsi del primo quando è oramai incistato in un certo modo di concepire la politica.
 
Quando  un  cittadino  scopre  che un ospedale non si limita a curarlo ma cerca di “guadagnare” su di lui e comincia così a vedere un primario non più come uno specialista ma come un commerciante
- con tutto il rispetto - che agisce per conto dello Stato perché gli hanno fatto credere - povero lui-
che questo significa essere manager, beh allora forse si può comprendere perché quando costui sente la parola “aziendalizzare” comincia a preoccuparsi. E a ragione, perdìo.
 
Ma ora la frittata è stata fatta e ancora una volta è necessario tentare di rimediare ad errori che dovevano essere evitati fin dall’inizio se si fosse lavorato con meno arroganza e superficialità e con maggiore competenza. Per esempio è assolutamente strategico convincere i massimi dirigenti dello Stato che il termine “aziendalizzare” non deve essere inteso come un banale e arido votarsi al profitto ma piuttosto come una crescita culturale e umana volta ad  integrare la propria professionalità di base prima di tutto comprendendo profondamente e poi mutuando dal mondo aziendale, quello vero, tutte quelle pratiche di corretta gestione, la maggior parte delle quali hanno una base scientifica, etica e filosofica - ebbene, sì - che in poco più di 100 anni di storia hanno consentito al mondo di fare il più grandioso progresso che si sia mai visto sulla faccia della terra. Quelle stesse pratiche senza le quali nessuna risalita sarà possibile dall’abisso di ignoranza e di insipienza nel quale ci siamo cacciati.
 
Questa scienza, questa etica e questa filosofia, con la prassi che ne consegue, deve segnare il profilo mentale e morale di un manager preparato, altro che l’aspirazione limitata e limitante di ridurre tutto alla dimensione economica.  Un ospedale aziendalizzato in questi termini, laddove se ne fosse capaci beninteso, è un ospedale dove si cura meglio, si spende meno e si fa ricerca eccellente. Una magistratura aziendalizzata in questo modo è una magistratura dove c’è una volontà comune - la missione istituzionale - si lavora per obbiettivi, si ottengono finalmente i risultati pretesi dai cittadini e si valorizzano le professionalità ( come è stato dimostrato e, subito dopo, ahimè, nascosto per benino, non si sa mai che qualcuno prendesse il cattivo esempio). Potrei andare avanti per molto, perché gli esempi non mancano davvero. Ma chi può far rinsavire i decisori ? Non certamente io che ancora sto disperatamente cercando di capire, con scarso successo, moltissime cose.
 
                                                                           Pepe Caglini
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