GENTILUOMINI E PIRATI
Lunedi - Ottobre 15, 2012 7:23     Visto:377     A+ | a-

GENTILUOMINI E PIRATI
 
Seguendo la provocazione di Winston Churchill – la democrazia è la peggior forma di governo ad eccezione di tutte le altre – è giocoforza ammettere che tra tutti gli esperimenti inventati dagli uomini per  riuscire a trovare  un modo di vivere decente, quello della democrazia sembrerebbe il più riuscito. Ma la democrazia ha più di duemila anni e li dimostra tutti. E’ più che legittimo chiedersi se la sua forma originaria – il potere nelle mani del popolo – nata quando le condizioni erano enormemente diverse dalle attuali – sia ancora oggi quella vigente al momento della sua nascita.
 
Il cuore della democrazia è un popolo sovrano che nomina (e revoca) suoi rappresentanti delegati a legiferare e a governare. Se questo concetto non fosse stato abbondantemente tradito, i delegati si troverebbero ad operare all’interno di un sentiero stretto – come capita a tutti coloro che sono, appunto, “delegati” e non imprenditori in proprio – caratterizzato grosso modo dalle seguenti condizioni:
-una missione da portare a compimento chiaramente espressa dal delegante (la parte maggioritaria, nella competizione elettorale, del popolo sovrano)
-un compenso (con annessi e connessi molto ben specificati) per il lavoro svolto stabilito dal delegante (il popolo sovrano) e non dai delegati
-la possibilità di revoca da parte del delegante, ove non soddisfatto del lavoro.
 
Se, come avvenuto, i rappresentanti del popolo sovrano hanno con il tempo capziosamente invertito il fisiologico rapporto esistente tra delegante – il popolo sovrano – e delegati (diventati politici di professione) creando così di fatto una mostruosità costituzionale – popolo rimasto, come don Falcuccio, con una sovranità virtuale e politici con in mano un potere sostanziale e ininterrotto – ebbene  se questo è avvenuto, l’unica speranza di ripristinare la “legalità” originale consiste nel prendere coscienza che la moderna forma di democrazia non risponde più allo scopo per cui essa è stata concepita e che va dunque rifondata. Il tutto senza che questo pensiero turbi le tante vergini della Costituzione pronte a stracciarsi le vesti al solo sentire la parola rottamazione e che in nome di princìpi oramai falsificati dalla realtà assistono senza provare il minimo imbarazzo al quotidiano assalto al buon senso e a quel concetto di giustizia naturale che irrita tanto i puristi con la puzza sotto il naso ma che incontestabilmente è ben presente nell’animo dell’uomo coraggioso e non corrotto che non può non provare sentimenti crescenti di disgusto e di ribellione.
 
Quando lo stolto assalto supera il limite della decenza, come sta avvenendo in molte democrazie e soprattutto in Italia, non bisogna dunque sorprendersi del montare dell’antipolitica. E nemmeno del sorgere di suggestioni piratesche, che vanno invece comprese perché hanno un senso. Se il Jolly Roger in breve tempo garrirà al vento delle nostre contrade, cosa che non escluderei, per la politica come sistema per garantirsi a vita potere e ricchezza sarà finita e sarà un gran bel giorno.
 
Dei pirati abbiamo tutti un’immagine negativa (e a ragione) ma pochi sanno che questi liberi gentiluomini del mare, come amavano definirsi nel seicento, sono stati protagonisti di uno dei più interessanti esperimenti politici dell’umanità. A bordo dei loro velieri avevano infatti abolito il concetto di “capitano per grazia di Dio” come loro definivano l’autorità costituita tipica della società civile dalle cui file provenivano e che si esprimeva con la figura classica del Comandante con i galloni – sia nella marina militare che in quella mercantile – che veniva imposto dall’alto e che non poteva essere criticato o discusso (Dio ne guardi!) dalla ciurma.
 
I liberi gentiluomini del mare – in realtà avventurieri tagliagole non privi però di un alto concetto della libertà – la pensavano in un altro modo. Al capitano imposto dall’autorità costituita sostituirono il capitano scelto dall’equipaggio. E come stavano attenti, questi uomini di mano e di coltello, a che il metodo democraticamente scelto fosse scrupolosamente rispettato! Peraltro, per chi sgarrava, il caloroso avvertimento era lì, bello pronto a ricordare il concetto di meritocrazia, qualora fosse stato dimenticato.
 
A bordo di un veliero di pirati la scelta della leadership era dunque assolutamente democratica e indiscutibilmente meritocratica. Il capitano così eletto dal basso, peraltro, esercitava un comando dittatoriale cui non era consentito sottrarsi – un sistema molto efficace per ottenere una esecuzione perfetta, assolutamente indispensabile date le circostanze operative – ma … ecco, c’era un piccolo “ma” a caratterizzare il geniale sistema costituzionale dei liberi gentiluomini e a determinarne l’effetto virtuoso all’origine del successo indiscutibile di queste formazioni: qualora la ciurma avesse ritenuto che l’azione di comando non fosse svolta nell’interesse comune, era immediatamente convocato il consiglio di bordo. Questo organo, sempre con un metodo rigorosamente democratico, aveva il potere di destituire il comandante e di nominarne uno più adatto. Sulla fine dei capitani destituiti, meglio che i nostri “rottamandi” con animo sensibile non indaghino.
 
Per quanto se ne sa, a nessun altro motivo se non a questo – il potere di scelta e controllo della leadership detenuto saldamente dal popolo sovrano – sembra doversi attribuire il fatto che per un periodo così lungo (oltre duecento anni) le più potenti marine militari del mondo forti di decine di  migliaia di uomini siano state regolarmente umiliate in tutti gli angoli del globo da una sparuta pattuglia di personaggi spietati e pittoreschi che tenevano però in sommo grado i valori della libertà, della democrazia e soprattutto della meritocrazia. Riflettere.

                                                                      

 

                                                                   Pepe Caglini
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