ANCHE LA PICCOLA IMPRESA HA BISOGNO DI UNA “DIREZIONE COLLEGIALE”
Lunedi - Novembre 5, 2012 11:57     Visto:305     A+ | a-


ANCHE LA PICCOLA IMPRESA HA BISOGNO DI UNA “DIREZIONE COLLEGIALE”

 
Una serie di ragioni storiche e culturali ha fatto sì che lo stile di direzione nelle imprese italiane (in larghissima maggioranza unità di minime dimensioni) si presenti oggi come accentrato, monocratico, poco aperto alla discussione e meno che mai al confronto. L’imprenditore, che ha creato l’azienda, ne è l’anima, il cuore, gli occhi e spesso la mano. Tutto è concentrato nella sua mente, la storia, la conoscenza, la strategia, il futuro. I collaboratori, spesso famigliari o molto intrecciati con i famigliari, sono visti come gli esecutori della sua volontà e le carenze organizzative e comportamentali, ammesso che vengano viste, sono trattate con lo spontaneismo che di solito si riserva alle manchevolezze familiari: una sfuriata momentanea, poi tutto finisce lì. E’ tale la distanza (nella consapevolezza dell’azienda e delle sue necessità gestionali) tra questi imprenditori – che andrebbero definiti più propriamente produttori – e la cerchia delle persone che sta loro intorno che, frequentandoli, la prima cosa che viene da pensare è: ma se si ferma lui, come farà l’azienda ad andare avanti?
 
Per un capo-azienda il “fermarsi” non va inteso solo in senso passivo (come nel caso di una malattia) ma anche in senso attivo come quando si intraprende un viaggio per incrementare il business, si partecipa ad eventi sociali o culturali, ci si concede uno stacco per ritemprare le energie o semplicemente si sente il bisogno di concentrarsi e di riflettere sulla propria strategia e sull’organizzazione dell’azienda. Per passare da produttori ad imprenditori è fondamentale fare questo primo passaggio, consistente nella sensazione di potersi permettere un allontanamento temporaneo dalla prima linea senza che ciò provochi alcun problema perché l’azienda, anche in assenza del suo titolare, è in buone mani e qualsiasi emergenza può essere affrontata e risolta con competenza dai collaboratori che sono stati delegati e preparati per poterlo fare.
 
E questo è solo il primo dei tre motivi che ci fanno capire come la sindrome dell’uomo solo al comando, che affligge tante aziende italiane, e non solo piccole, vada risolutamente affrontata come una delle cause più importanti dell’inadeguatezza prestazionale e culturale delle nostre imprese. C’è poi l’altro aspetto, ancora più importante, sempre legato alla separazione tra chi decide e chi esegue. Un mondo complesso e sempre più parcellizzato nelle conoscenze, come quello odierno, non contempla più la possibilità che una sola persona, per quanto intelligente, possa accentrare in sé tutti i controlli e tutte le decisioni che il dirigere un’azienda, per quanto piccola, oggi comporta. La delega di funzioni e responsabilità non è più un optional tipico di ambienti sviluppati – e perciò molto diffuso nelle grandi aziende – ma una assoluta necessità legata alle trasformazioni della società, sulle quali nulla può l’imprenditore, se non cercare di adeguarsi.
 
Infine, il terzo ma sicuramente non il meno importante dei motivi che spingono verso una direzione collegiale dell’impresa è costituito dal vantaggio offerto dal confronto tra menti diverse. Non è paradossale che questa modalità sia invece vista come il fumo negli occhi da tanti produttori, convinti che ogni confronto delle idee circa le decisioni da prendere sia dispersivo e controproducente, visto che tra chi sa tutto e chi sa molto poco di condivisione ce ne può essere molto poca ? Beh, non è così, o almeno è così solo perché a creare la distanza tra chi sa tutto e chi sa poco è stato solo chi, fin dall’inizio, non credendo che i collaboratori potessero crescere e crescendo potessero diventare dei validi interlocutori aziendali, capaci di fornire pareri esperti e suggerimenti precisi in campi poco conosciuti dal leader, nulla ha fatto per trasmettere le sue conoscenze, per delegare responsabilità e per innescare così un circolo virtuoso.
 
Dunque la terza motivazione che fa della direzione collegiale dell’impresa la modalità oggi più avanzata di gestione, è costituita dal potenziale analitico, creativo e motivazionale che si crea quando più cervelli analizzano una situazione e cercano insieme la soluzione più corretta per l’innovazione. Ogni mente singola infatti, per quanto acuta, è limitata dal fatto di essere priva di altri punti di vista circa il problema in esame e ciò oltre che svantaggioso può essere anche, in certe circostanze e soprattutto oggi, pericoloso. Chi ha capito questo, non ha paura di circondarsi in azienda di altre teste pensanti, magari più brave di lui e prende decisioni solo dopo aver sentito il parere di tutti. Generalmente, sono decisioni migliori.
 
Perché ci possa essere una vera direzione collegiale, il team di vertice (il gruppetto di persone che affianca il capo-azienda) deve ovviamente essere fatto di persone capaci di visione critica e innovativa – e non di yes man – e la squadra deve comportarsi come una vera squadra che vede nel successo dell’azienda il suo primo obbiettivo. A tutto questo non si arriva se l’imprenditore non ne è convinto per primo e non ha energicamente fatto i passi necessari per arrivarci. E’ possibile sostenere che quasi tutte le aziende che in questo momento stanno superando la tremenda selezione imposta dalla grande crisi sono state in grado di comprendere (prima) e di fare (poi) il cruciale e non facile passaggio verso la gestione collegiale.
 
 Pepe Caglini
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